Senza titolo

“Senza titolo” (Legno di larice – 153x26x3 cm) – scultura di Alberto Festi

“Ce n’est pas tant des événements que j’ai curiosité, que de moi-même. Tel se croît capable de tout, qui, devant que d’agir recule… Qu’il y a loin entre l’imagination et le fait!”
[Non è tanto degli avvenimenti che sono curioso, quanto di me stesso. Ci sono persone che si credono capaci di tutto, ma al momento di agire si tirano indietro… Che enorme distanza tra l’immaginazione e il fatto!]

André Gide, Les Caves du Vatican

Non solo un gesto volontario, non solo una traccia appositamente lasciata di sé: è l’atto gratuito, l’azione immotivata il soggetto di quest’opera.
Esattamente come, nel romanzo di Gide, il protagonista getta un altro viaggiatore dal treno senza alcun motivo, così l’artista deforma la materia e lo fa con tutto il peso del suo corpo, quello vero e quello ideale.
Lo fa come gesto di volontà pura, che assume valore proprio perché lui stesso non ne conosce la ragione e lo fa trasformando nelle sue tre dimensioni una forma geometrica perfetta, calpestando l’ordine delle cose e facendo debordare la materia là dove prima non era, verso il dominio dell’immaginario.

La lunga asse in larice è il percorso già tracciato, la via su cui corre il convoglio con il suo contenuto dal moto relativo nullo. L’impronta è la volontà di agire, la prova che non ci “si tira indietro”, che c’è un’enorme distanza, appunto, tra l’immaginazione e il fatto.

Ma se l’azione è ciò che l’autore riserva a se stesso, egli consegna invece tutta l’immaginazione allo spettatore che non può fare a meno di domandarsi il come e il perché e che inevitabilmente cerca di costruire una storia attorno a ciò che non c’è.
Che non c’è più o che non c’è mai stato perché non era lui o non era il momento.
Ci si chiede allora dove sia l’artista, che attraverso questo gesto sembra a sua volta cercare se stesso, per scoprire che è proprio lì, in quell’azione incisiva quanto i segni lasciati sulla materia, anche se l’impronta è l’unica cosa che ne resta.

Non è però assenza la sua, bensì presenza in negativo. È calco, sagoma invisibile da ricostruire, con una storia diversa per chiunque abbia voglia di leggerla.
O di scriverla chissà.

Knot here

“Knot here” (90x12x18 cm) – Legno di larice e corda

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L’idea che è alla base di questa scultura è quella di trattare un materiale in modo che possa acquisire delle caratteristiche che normalmente non gli sono peculiari.
Dare al legno, in questo caso, una malleabilità e una morbidezza che per natura non possiede può a mio avviso generare grande bellezza.
Non è bellezza che deriva dalla forma e nemmeno dal significato, ma è bellezza che nasce dalla discrepanza tra quello che la nostra mente legge nella realtà e quello che interpreta come in contrasto con essa. E’ bellezza che genera poesia sotto forma di espansione della realtà stessa.
Ma non c’è solo questo. Quello che rende ai miei occhi questa piccola scultura speciale non è solo il riuscire a dare a un materiale proprietà che sono tipiche di materie più flessibili. Questo è infatti un procedimento comune nella scultura, che spesso mima in modo mirabile panneggi, vesti e veli partendo da materiali rigidi come il legno o il marmo.
Ma qui c’è di più, qui c’è la tensione. Non si tratta infatti di imitazione statica: quello che è riprodotto è un moto, una forza che esce infine dall’interno stesso della materia per affiorare in superficie.
È azione della materia stessa che si vuole altra da sé.

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