Ice

Cronaca di un dialogo scritto a due voci

(di A.F e A.F)

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io: ”io sono ambiguo. Sono io che ho fatto l’opera, ma sono anche te mentre leggi quello che ho fatto. Sono dentro e sono fuori, ma qui mi faccio gioiello, mi faccio piccolo e prezioso. Sono come diamante, fatto per essere incastonato su una montatura che metta in risalto tutte le mie sfaccettature brillanti. Ce n’è tante di sfaccettature nell’io, le vedi?”

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tu: “tu è la tua manifestazione esteriore, superficiale, apparente. Sempre accanto a te in modo che chiunque ci si ponga di fronte riesca ad identificarsi o con te o con me. Ora con te, ora con me, mai contemporaneamente con entrambi. Non possiamo infatti essere allo stesso tempo introspettivi ed estroversi, per questo sono necessari tempi diversi e separati fra loro. Ora sono io, ora tu, non puoi farci niente contro lo scarto temporale che separa questa diversa percezione. Quindi caro amico io, tu e io siamo tremendamente legati da una profonda divisione.”

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io: “tu pensi di essere accanto a me? tu sei me! Nel momento in cui ti rifletti nella mia forma sei specchio. Nel momento in cui ti credi solido e persistente ti scopri instabile. La tua opalescenza non è quella del marmo ma quella del ghiaccio.
Guardami, guardati: i tuoi cristalli stanno solo aspettando di sciogliersi per rifluire nell’unica cosa che sei”.

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tu: “io sono te è vero, ma in una ricostruzione a posteriori. Solo un io che si immagina dal di fuori può essere un tu, ma a quel punto non é più attuale: io, in quanto tu, non posso che rappresentare il tuo passato, mentre tu, in quanto io, sei il mio presente.
‘tu’ sono io lì e prima
‘io’ sei tu qui e ora

 

io tu

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“io tu” prosegue la riflessione sull’io, sul nostro essere allo stesso tempo interni a noi stessi ed esterni attraverso il nostro riflesso nell’altrui sguardo.

L’io non si interroga qui sulla sua posizione lungo l’asse temporale della dimensione artistica quanto piuttosto sul dove porsi rispetto ad essa.
Io è l’artista ma è anche chi fruisce dell’opera e a quel punto la differenza tra io e tu diventa soprattutto una differenza di punti di vista: leggendo “io” si è dentro l’opera, leggendo “tu” se ne è al di fuori, si diventa estranei.

La continuità visiva tra le due lapidi è anche continuità semantica e sottolinea l’ambiguità dell’io nell’opera d’arte.

 

IO

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Alla base di questo lavoro c’è una mia riflessione sulla differenza semantica tra memoria e ricordo.

Mentre il concetto di memoria riporta a un punto più o meno definito sulla freccia del tempo, il ricordo ha invece una matrice poetica che sembra porlo al di fuori della dimensione temporale trasformandolo in emozione, sentimento.
L’interrogativo cui l’opera risponde è se sia possibile trasportare anche il presente in quella stessa dimensione, farlo diventare ricordo, pur mantenendone l’attualità.

E cosa è più rappresentativo del presente dell’IO, in cui viviamo ogni momento il nostro essere qui ed ora? Ma IO è anche tutto il passato che ha portato ad essere quello che si è, è inscindibile da tutto ciò che è stato prima.
IO è dunque già di per sé la risposta che cerca una forma.

Ho cercato di far assumere al presente i contorni del passato rappresentandolo come reperto archeologico. Un IO che si vuole conservare in tutto il suo spessore storico è già ricordo, ai miei occhi.

In quale altro modo si può modellare la profondità dell’individualità che cerca di uscire dal tempo? quale altra forma può prendere questo IO che si vorrebbe partecipe di una dimensione poetica e proprio per questo intemporale?

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