Escape

“Escape” – Legno di larice e tasti di computer (125 x 15 x 3,5 cm) – Opera di Alberto Festi

La chiave di lettura per quest’opera incredibile ce la dà l’artista stesso, che la definisce una sorta di “poesia tridimensionale”, una forma poetica intermedia tra quella che si esprime attraverso la scultura e quella che usa le parole e le loro sonorità per rivelarsi.
È un’opera a mio avviso incredibile perché di una semplicità e di un’evidenza estrema, quella semplicità ed evidenza che coincidono con la bellezza proprio in virtù del fatto che sono semplici ed evidenti.
È poesia nel senso più stretto del termine: è lirica perché per manifestarsi usa la musica insita nella parola articolata.

“Fuggi” è innanzitutto una parola melodica e dall’eleganza un po’ desueta, con quelle vocali chiuse e le consonanti non occlusive che le conferiscono un suono sussurrato e continuo.

“Fuggi” è anche una forma imperativa, un comando o un consiglio, che però genera un dubbio relativo all’azione da compiersi, vale a dire se sia essa da eseguire con tutto il corpo oppure solo con i polpastrelli, scappando via oppure digitandola sui tasti come se si trattasse di un software da cui si vuole uscire, di fatto stando fermi.

“Fuggi” diventa infine una forma tridimensionale, attraverso i volumi di quegli oggetti in plastica che premendo si possono far affondare un po’ di più nel legno, come se la via di fuga potesse essere proprio lì nella profondità aggiunta dal movimento.

O dall’immobilità rispetto alla quale quel movimento si definisce.

LECTA MANENT

Il gioco tra realtà e finzione è il cuore di questa nuova opera di Alberto Festi.
Non la si vede subito la verità, quando ci si trova davanti a questa tastiera per computer. Essa è nascosta in una sequenza di lettere che in genere sono prive di senso, anche se il loro scopo è proprio quello di crearne uno.
Non la si vede subito la verità, eppure la rivelazione è potente, quando si capisce che quello che credevamo essere uno strumento per scrivere è in realtà un supporto contenente un significato, l’unico possibile tra le infinite combinazioni che si sarebbero potute immaginare.

Plastica al posto del marmo, pezzi di ricambio anziché lavoro di scalpello, Alberto reinventa qui l’incisione e lo fa chiedendo ancora una volta l’intervento dell’osservatore.
Il testo non si esaurisce infatti nella sua mera esposizione, ma diventa invito all’azione: quei tasti chiedono di essere digitati, anche se solo per ricomporre altrove quell’unica frase che ci interpella di fronte alla realtà di una cosa non vera.

“Era vera l’illusione che ci teneva”. L’affermazione ha l’intensità di un’epifania, ma ci lascia sull’orlo di un precipizio quando ci rendiamo conto che la verità di un’illusione corrisponde alla sua fine.

Esposizione Henjam al Castello del Catajo

Il castello del Catajo,  splendido palazzo cinquecentesco dal bellissimo parco e dai saloni affrescati ricchi di storia e leggende, ospiterà dal 29 aprile fino al 12 maggio un’esposizione di opere Henjam, in occasione della rassegna Emergere in Arte che vedrà altre mostre prendervi vita nei prossimi mesi.
Siamo a Battaglia Terme sui Colli Euganei in provincia di Padova in una location davvero eccezionale. Si tratta di una delle dimore storiche europee più imponenti e monumentali: villa principesca, reggia e salotto letterario, di qui sono passati nei secoli nobili e artisti di tutta Europa.

In queste stesse stanze Henjam ha il piacere di presentare la sua produzione artistica più recente, con qualche excursus verso opere passate ma collegate ad esse per stile e poetica e una digressione riguardante le ultime sculture lignee di Alberto Festi.

Il nucleo centrale dell’esposizione è costituito dalle opere della serie Limes (2017).
Questi grandi dipinti su juta in cui il dialogo fra mondi inconciliabili sembra sempre sul punto di realizzarsi sono in realtà intimamente legati alle opere su juta del 2003.
Oltre al supporto e alla tecnica esse partecipano infatti della stessa capacità evocativa nel creare mondi sospesi tra il presente e l’attesa.
Anche qui come in Limes il passaggio non si realizza mai, ma l’universo resta più nudo e metafisico, mentre le più recenti immagini di confine ostentano materia e carnalità.

Oceano (2017) è un’opera a sé. Questo dipinto grandioso prende le sembianze di una scultura tanto è abitato da un movimento ondoso tridimensionale, a sua volta contenuto dall’acciaio immoto della cornice, in una costante tensione che sembra non risolversi mai.

Se Oceano è il movimento, La Madre rappresenta le radici.
Quest’opera monumentale del 1994 segna l’inizio della collaborazione artistica tra Alberto Festi e Matteo Tonelli. La tensione qui corre da un riquadro all’altro, creata da quello stesso attrezzo che serve appunto a tendere i filari delle viti,  ripetuto per 24 volte con tecniche diverse in altrettanti dipinti cuciti su juta.

E proprio la tensione, assieme alla capacità evocativa, è il secondo polo su cui ruota l’esposizione.
Le ultime sculture di Alberto Festi (2018) completano in questo senso il discorso sull’energia potenziale racchiusa nell’opera d’arte. Potenti, immediate e intense raccontano una realtà dall’evidenza che sorprende per la sua purezza e bellezza assoluta.

La visita al castello e all’esposizione vi emozionerà. La sintonia tra il fascino un po’ decadente dei locali che la ospitano e il potere evocativo di queste opere è davvero perfetta.

Il castello è aperto nei pomeriggi di martedì, giovedì, venerdì e domenica dalle 15 alle 19.

A. F.

 

 

Senza titolo II

“Senza titolo II” – legno di larice (108 x 28 x 32 cm) – Scultura di Alberto Festi

Sulla Bellezza

Si parte sempre dalla bellezza, anche quando ci si arriva.
Il fatto è che tutti, chi più chi meno, ce l’abbiamo dentro e se la riconosciamo fuori è solo perché è già in noi, anche se non sappiamo bene da dove ci sia venuta.
Troviamo belle tante cose, diversissime tra loro, ma tutte hanno in comune il fatto che ci attirano.

È come una tensione che allontana in qualche modo i due capi opposti di una corda, immobile ma proprio per questo concentrata in un istante densissimo.
La tensione è energia potenziale non ancora dissipata e quindi per natura aspirazione al cambiamento. È desiderio di una direzione, di moto ed evoluzione verso qualcosa cui assomigliamo già e cui aspiriamo per essere a nostra volta belli.
La tensione è desiderio e infatti le sculture in legno di Alberto desiderano tutte qualcosa, per questo sono belle.
Desiderano muoversi, diventare altro, ma un altro che hanno già dentro, che in qualche modo amano.
È un uscire da sé restando sé, un po’ come l’amore appunto che infatti rende belli.

Tutte le recenti sculture lignee di Alberto racchiudono questa energia, che in qualche modo attende di dissiparsi, intrappolata com’è nella materia.
Forze centrifughe, ma anche altre il cui verso mira all’unione, forze che deformano concentrandosi in un istante eterno e altre ancora invece che portano allo scioglimento, perché non tutte le ipotesi sono suscettibili di dimostrazione e a volte si può scoprire che oltre il velo di Maia quello che sembrava solido in realtà non lo è.

Ombre spiccate

Se un’ombra scorgete, non è
un’ombra – ma quella io sono.
Potessi spiccarla da me,
offrirvela in dono
(“Ciò che di me sapeste” – Ossi di Seppia, E. Montale)

Donare un’ombra. Sembra una cosa assurda, impossibile e, agli occhi dei più, soprattutto inutile. Eppure.
Eppure la propria ombra è alla fine tra le cose che ci definiscono meglio: è il nostro contorno, una specie di involucro che ci corrisponde nei minimi dettagli, ma di cui non si distingue il contenuto, esso si può solo intuire e forse è proprio quello il bello.
Donare la propria ombra può quindi essere un gesto di grande intensità, corrisponde a dare la possibilità di mettersi per qualche istante là dove ci si può sentire davvero al posto di qualcun altro e diventa allora un’esperienza unica.

Per mettervi nei nostri panni, camminate guardando i video seguenti sul vostro smartphone


Oppure provate l’esperienza dal vivo alla prossima esposizione delle opere Henjam.

ombra henjam

ombra henjam

(a breve maggiori informazioni)