Sigla, marchio, aggregazione, acronimo, sigillo, logo, logos, contenitore.
Henjam è un’entità che esiste in virtù del lavoro che produce.
Fino a quando non sia stato realizzato un progetto, l’elaborato artistico che possa evocarlo, Henjam non si manifesta.
Il nucleo operativo è composto da due persone (Alberto Festi, Matteo Tonelli) ma la sua è una natura permeabile. Le influenze esterne sono un aspetto del tutto naturale e assolutamente auspicato.
Henjam è un catino di chi ne ha intuito le potenzialità e di chi sappia convivere con il lavoro collettivo senza rivalse sulle proprie intuizioni.
L’idea scaturisce indipendente, fluttua fino a diventare ipotesi, progetto e lavoro in comune, oppure finché decada, vittima della selezione naturale perché cagionevole.
Nato come gruppo di lavoro nel ’94, ha maturato la sua identità nel corso degli anni dal momento in cui il lavorare insieme in uno stesso luogo è divenuto lavoro in comune sulle stesse opere e progetto collettivo.
Il banco di prova di questo connubio è una grande composizione di dipinti di piccole dimensioni cuciti su una grande tela di juta raffiguranti lo stesso soggetto in diverse varianti formali.
Idealmente, quella che viene denominata La Madre rappresenta il punto di partenza dell’esperienza Henjam, che appare qui ancora con la sigla “®distribuzione” e predilige inizialmente il medium della pittura manifestando la sua prima forte identità in una sorta di ambiguo dualismo: marchio/opera d’arte.
1995-1999
Il lavoro più significativo di questo periodo è il progetto Logo-ludus un trittico composto di 27 quadri ricomponibili in moltissime varianti e nato per essere serigrafato come multiplo-variabile a seconda delle esigenze del committente.
Di qui il corto circuito che trasforma il manufatto esclusivo in gadget.
Il dipinto diviene gadget dell’opera stessa, destinato alla riproduzione seriale del medesimo soggetto con le sue centinaia di varianti. In sintesi una sorta di hic et nunc riproducibile su misura.
Il soggetto del trittico “LOGO LUDUS” lo struzzo, altro non è che il marchio Henjam. Grottesco e autocelebrativo, è una sorta di parodia autoreferenziale, che fa il verso alle dinamiche della grande distribuzione, contrapponendo però all’ortodossa identità del prodotto commerciale, in cui il marchio di riconoscimento è rigorosamente immutabile, l’enorme versatilità del logo Henjam: un soggetto inconfondibile ma in continua mutazione.
Il percorso creativo di questo periodo porta ad una mutazione essenziale nel porsi rispetto al lavoro: l’elaborato che poteva essere inteso come rappresentazione e portatore quindi di contenuti pregni di significato, ora nasce come oggetto autocelebrativo. La didascalia ne è assorbita, la narrazione è materia, superficie, rilievo, forma, la parola diventa scultura. L’opera non è destinata, nella migliore delle ipotesi, a divenire feticcio, ma ha la superbia di nascere tale.
“Il feticcio non è il simbolo né il segno né la cifra di qualcos’altro, ma vale unicamente per se stesso, nella sua splendida indipendenza ed autonomia.” (M. Perniola)
1999-2000
Contemporanei all’ultimazione di “logo-ludus” sono i “bog-fetish” realizzati per la collettiva “CHEAP” alla Temple Bar Gallery di Dublino. Dai feticci della grande distribuzione ai feticci della burocrazia in una spontanea ricerca di continuità poetica.
Henjam rielabora gli strumenti simbolo dell’Amministrazione (timbri, carta intestata, firme di autenticazione) per creare degli oggetti che riproducano sensorialmente alcune tracce ricalcate da un biotopo.
Le regole che precludono la presenza umana in un luogo fragile, dove l’ equilibrio naturale è esclusivo dalla natura, sono governate da carte bollate timbri, decreti, leggi. Una giungla artificiale di codici che preserva l’equilibrio naturale.
Dove l’antropizzazione più becera non può arrivare, si insinua un’antropizzazione più sottile e immateriale: la burocrazia.
Henjam coglie questo aspetto per farne l’oggetto della sua opera: il feticcio di palude.
Tracce dei territorio vengono riprodotte attraverso dei calchi in alginato ed elaborate come timbri di autenticazione e formelle celebrative. Nati come oggetti ibridi tra il materiale scientifico e lo strumento burocratico, acquistano un’identità metafisica che li affranca dal funzionalismo elevandoli allo stato di feticci.
I calchi della terra inaccessibile diventano il medium che la evoca.
Il lavoro ha come coronamento una serie di azioni attraverso il consolato italiano a Dublino e la Temple Bar Gallery per fare in modo che venga documentata ufficialmente l’esistenza di Henjam e il giorno 7 febbraio 2000 ne viene letteralmente sugellata l’esistenza nel sistema dell’arte .
2000-2001
Dato il buon esito di questa mostra il gruppo Plug propone ad Henjam un ulteriore progetto.
Henjam parte con un’idea molto ambiziosa e nonostante l’importante prospettiva di esposizione svanisca nelle incomprensioni di alcuni membri e il conseguente scioglimento del gruppo, il progetto Henjam viene in buona misura realizzato.
Si tratta in questo caso di un intervento su uno dei fenomeni più eclatanti di feticismo moderno, probabilmente tra i più praticati al mondo: la pagana venerazione della statua di Giulietta nell’omonimo cortile nella casa di Verona in via Cappello visitata da 2 milioni di persone l’anno. Questa statua di modesto valore artistico e priva di valore storico, è quotidianamente oggetto di attenzione morbosa da parte di migliaia di persone, che ne accarezzano il seno come portatore di buona sorte: rituale conosciuto da tutte le coppie di fidanzati arrivate da tutto il mondo per questo gesto scaramantico.
Henjam dopo aver formalizzato con il comune ciò che concerne i diritti di proprietà del manufatto, ottiene dall’amministrazione dei beni pubblici di Verona l’autorizzazione a prendere il calco della mammella. Tutto viene documentato fotograficamente per confermare l’autenticità dell’operazione. Henjam però non si limita al calco della mammella ma, cosciente dell’irripetibilità dell’occasione, fa l’impronta anche della parte inferiore del viso e del piede.
Viene così riprodotto in gesso il calco della mammella, del piede e della bocca della statua, creando delle matrici del feticcio.
Con il calco della bocca viene realizzata l’opera monumentale “mamavanonmavava” di certo l’opera più ermetica di Henjam.
Si tratta di 12 pezzi identici in pasta di porcellana giallo cadmio dalla forma di fetta di torta. Le 12 fette unendosi vanno a formare una torta nuziale riccamente decorata.
La torta nunziale destinata idealmente all’unione della sventurata coppia rivela in realtà una doppia identità in totale contrapposizione al carattere effimero della dolce pietanza. Ogni fetta di torta, che è identica alle altre ed è riproducibile infinite volte, è la maschera funebre di Giulietta( o meglio sarebbe dire del suo feticcio) a eterna memoria dell’amaro prezzo per l’immortalità: la morte del corpo.
Dal mito al feticcio attraverso la simulazione fino alla sua clonazione. Può funzionare? Ecco in sintesi il triplo salto mortale o la stravagante pratica alchemica messa in atto da henjam con questo lavoro.
L’opera in realtà non è mai stata allestita in pubblico e pochissime persone l’hanno mai vista. Quasi fosse accompagnata da una sorta di maleficio, essa conserva e coltiva quell’aura di sventura e mistero che caratterizza la vicenda narrata da Shakespeare.
L’alone di sacralità del calco della mammella è ancora predominante e la sua nuda riproduzione ha già una sua forte valenza poetica. Nessuna rielaborazione è mai riuscita ad essere messa in opera per quanto riguarda la sua riproduzione seriale.
Animagemella è anch’essa figlia di questo progetto e troverà la sua espressione più autentica nel progetto Transmission 04.
2002
L’intero ciclo di opere dedicate all’oggetto-feticcio viene idealmente celebrato dalla mostra che ha rappresentato una piccola antologia delle realizzazioni di questo periodo.
Assieme a Logo-Ludus vengono allestite le formelle di Artifex, Gotic aestetic experience dove la sacralità del soggetto entra in commistione con neologismi di chiara ispirazione gastronomica.
I calchi delle decorazioni gotiche del duomo di Milano diventano così “matton glacé”, “cotica gotica”, “zuppetta di mare”, “zampone, lenticchie, torrone”
Ciò che viene messo in forse in queste formelle suadenti è la pertinenza delle arti visive. Gusto, tatto, libido (it’s your first time? Have you any experience?) peso specifico (have you ever lifted a piece of cathedral?) si contendono alla pari della percezione visiva il valore artistico dell’opera.
Nello stesso allestimento vengono esposte anche le “formelle ricostruite”, opere di formazione precedenti a Logo Ludus ma dalla forte personalità. Perizia da restauratore, profondo senso della materia (è usata creta, cera d‘api, paraffina colorata, terracotta) e il sapiente uso della scrittura, fanno di queste tavolette delle preziose sculture fuori dal tempo.
2003
Dopo Artifex , Henjam vive un ritorno di fiamma per la pittura. Di questo periodo sono i grandi dipinti su juta a prevalente rappresentazione di elementi architettonici di interni.
Qui gli autori volgono lo sguardo attorno a se stessi, dipingendo semplicemente quello che vedono nel loro studio. Il risultato sono delle rappresentazioni essenziali, eseguite prevalentemente con grandi campiture di colore, in cui l’atto del dipingere più che ad un gesto meccanico di precisione, assomiglia ad una pratica mantra, a un atto liberatorio per la pittura quanto per gli artisti.
2004
La luna di miele con la pittura viene sospesa per affrontare le tematiche del progetto Transmission 04.
Un progetto d’arte contemporanea ideato e curato da Progettozero(+) in collaborazione con i Laboratori delle Tecniche ed Espressioni Artistiche del clasAV (corso di laurea specialistica in Arti visive) dell’università IUAV di Venezia) condotto da Joseph Kosuth e Rikrit Tiravonija. Gli artisti, provenienti dai corsi, lavorando sulla rappresentazione di processi legati alla comunicazione, alla partecipazione, alla condivisione, sono intervenuti realizzando una serie di azioni di intromissione nelle dinamiche quotidiane della comunità.
Henjam vi partecipa in qualità di artista ospite e si propone con tre interventi distinti nella loro forma ma legati da una poetica comune: la distrazione come informazione o interazione non funzionale.
Nel primo intervento denominato Graffiati, 12 messaggi vengono dislocati in diversi luoghi della città, dai più frequentati a quelli più imprevisti.
Vetrine di negozi, librerie, strade principali o anfratti di vicolo nascosti della città di Bassano del Grappa accolgono i 12 messaggi stampati su targhe di metallo e in forma di adesivi e destinati all’occasionale fruitore.
“Ci siamo trasferiti a casa tua” rappresenta il messaggio pilota che ha il valore sia figurato dello sbalordimento di chi immagina uno sconosciuto che gira serenamente tra le propria mura domestiche, sia metaforico di tutti gli altri.
Il trasloco avviene anche nelle roccaforti mentali che ognuno di noi costruisce attorno alle proprie confortanti abitudini. “Formatta un giudizio”, “rovina un assalto”, “inverti un’idea o due” , “chiedi informazioni per casa tua”, “non attraversare senza voltarti” sono le strane esortazioni che pongono in una provvisoria condizione di spaesamento, proprio nei luoghi che dovrebbero accogliere le nostre fragili certezze.
Animagemella, il secondo intervento, è un grande banner appeso sulle mura della città che rappresenta la gigantografia dei piedi della statua di Giulietta. Viene utilizzato un medium propagandistico (lo striscione) per comunicare un messaggio che riguarda un aspetto intimo della sfera privata.
Il primo approccio con l’immagine è quello di mettere alla prova la soglia di attenzione (o distrazione) del pubblico. E’ immediata una reazione di disorientamento ma non è altrettanto veloce la comprensione del motivo che la genera. L’immagine di per sé inusuale rappresenta un paio di piedi di bronzo (la statua è la raffigurazione di Giulietta Capuleti), non si tratta però di un piede destro e il suo rispettivo sinistro, ma del medesimo piede destro duplicato e appaiato al proprio clone come fossero una coppia “normale” di piedi.
Aver usato l’immagine rielaborata di una scultura di bronzo per mettere in atto l’ambiguo inganno lo rende assoluto e irreversibile. Ma ciò che la rende ancor più irriverente è aver associato alla raffigurazione del “mostro” la didascalia ANIMAGEMELLA.
La disfunzione fisica si insinua in una visione romantica del rapporto di coppia o di amicizia, suggerendo all’osservatore in maniera irriverente e cinica che la forma più plausibile dell’anima gemella per la nostra natura egocentrica e individualista non possa che risolversi nel riflesso della propria immagine distorta e nella clonazione di noi stessi.
“siamo aperti anche la domenica” è la didascalia stampata su t-shirt da Henjam che gli artisti di Trasmission indossano durante l’evento. Una frase presa in prestito dallo scarno lessico della vendita al dettaglio, ma che staccato dal proprio contesto, perde la sua valenza univoca di informazione merceologica per caricarsi di molteplici significati e metafore.
2005
L’anno successivo Henjam è ancora ospite del progetto Transmission pilotato da Progettozero(+)
TRANSMISSION05 PLAZA MARKET è il secondo capitolo per questa comunità di artisti che si propone di far dialogare la ricerca artistica con il territorio dove si trova ad operare. Si tratta di studenti, artisti e curatori indirizzati verso l’analisi delle problematiche del territorio nella Regione Veneto, alla progettazione e realizzazione di una serie di interventi nello spazio ‘‘pubblico’‘, intendendo questo ultimo nel senso più ampio del termine, dallo spazio fisico a quello delle relazioni.
Da sabato 28 maggio 2005 la piccola comunità di artisti e curatori si sposta in Tour al fine di sperimentare alcune modalità’ di interazione con la popolazione: il contesto d’azione è quello dei mercati popolari cittadini.
Henjam allestisce nel pavillon del gruppo una piccola collezione di indumenti fittizi gli “Abiti Adibiti”.
L’indumento allestito come opera d’arte è l’espediente narrativo che taglia ogni distanza tra pubblico e opera d’arte facendotela sentire addosso.
Un prêt-à-porter d’arte non tanto per essere alla portata di tutte la tasche ma a portata di più menti possibile.
Alcuni soggetti sono ritratti della pittura italiana del 1500, scelti non sulla base di particolare interesse artistico o storico, ma semplicemente per la loro caratterizzazione espressiva ed evocativa. Altri invece sono scatti fotografici con soggetti assolutamente eterogenei. Tutte le immagini sono accompagnate da una scritta che rende ogni capo un piccolo enigma retorico o una curiosa esortazione.
2012
L’idea dello sconosciuto in casa propria, che era solo era una provocazione lessicale in Transmission, ora si fa reale con l’allestimento “Violazione di domicilio” realizzato in un’abitazione privata.
L‘opera esce dal ruolo passivo di oggetto decorativo per manifestarsi negli accessori di uso quotidiano di un appartamento: la lampada che accendiamo per vedere ci osserva o innesca un incendio dentro casa, la tenda che abbassiamo per velare gli sguardi da fuori ci svela inserendo proprio l’estraneo negli aspetti più privati della nostra vita, nel piatto in cui mangiamo appare poi chi ci ricorda la fame assoluta.
E proprio nel momento in cui ci accingiamo a compiere gesti banali, automatici in un ambiente domestico conosciuto ci troviamo di fronte un’entità estranea, che sovverte l’intimità della casa. Ciò che pensiamo di poter tenere fuori semplicemente chiudendo la porta si concretizza invece nel nostro vissuto più personale.
La coscienza individuale, piccola e egoista si trova a fare i conti con le responsabilità collettive: uno sguardo ci osserva perpetuo e inquieta le nostre fragili certezze.
2017 LIMES
Riecco la pittura! Come un ancestrale richiamo Henjam torna ai pennelli e alla tela.
Dopo 15 anni riapre l’atelier, luogo di lunghe sere trascorse tra l’odore inebriante della trementina e la musica in sottofondo ed è come sempre, come se il lavoro fosse ripreso da dove era stato sospeso.
La juta naturale e la pittura ad olio tornano a fare da schermo tutt’altro che neutro a delle visioni che si definiscono “immagini di confine”: Limes rappresenta un luogo astratto intermedio, dove il significato dei segni trova una sua zona franca. Qui il senso è sospeso e le immagini dialogano senza pregiudizio.
Quelli rappresentati non sono infatti dei limiti che definiscono, ma delle frontiere che lasciano passare e fanno conversare tra loro mondi apparentemente inconciliabili.
Henjam prende in prestito icone simboliche avvalendosi della loro potenza evocativa. In “Limes Opera Iª” una cattedrale monocroma ed eterea fa da sfondo e si intreccia con un campo da gioco, in cui in palio non vi è nulla di spirituale. La carnalità esce invece prepotente in “Limes Opera IIIª” dove delle carni da macello espongono la loro cruda corporeità attraverso una rete da cantiere. Questa membrana si abbassa ma lo spettatore ne resta al di fuori, vicino abbastanza per avvertirne gli effluvi sanguigni, ma estraneo ad essi.
Il cantiere, simbolo dell’azione tanto cara a Henjam, torna anche in “Limes Opera IVª”, dove la struttura di un edificio industriale in costruzione si erge in forma di cimitero costellato di croci, di fronte e quasi in affronto alla vita che lì accanto sembra osservare senza ancora poterlo davvero fare.
La spiritualità nella sua forma materiale dell’effigie religiosa riappare infine nella “Madonna del Gelato” (Limes Opera IIª) in cui il confine tra l’evanescenza di ciò che si vuole ultraterreno si scontra fin quasi a fondersi con uno dei simboli più intensi del godimento sensoriale: il dolce zuccherino di un gelato, la freschezza che svanisce sciogliendosi sul palato.
2017
“Oceano” rappresenta una scommessa pittorica, un tuffo a piedi uniti dentro la materia. Il soggetto è tra i più banali ma tra i più assoluti, sul quale milioni di persone si sono avventurate: il mare.
Il risultato è senz’altro tra i lavori pittoricamente più intensi di Henjam. La commistione tra un supporto plastico semitrasparente totalmente impermeabile e repulsivo, con una pittura primitiva e schietta, si è manifestata in maniera sorprendente. Quello che esce letteralmente da questa superficie difficile e al tempo stesso fortemente significativa è una massa in movimento, un volume tridimensionale che prende forma e vita quanto più ce ne si allontana per mettere a fuoco l’opera nel suo insieme.