Nel 2003 il ritorno alla pittura di Henjam si realizza attraverso i grandi dipinti su juta che caratterizzano questo periodo.

La juta rappresenta un ritorno alle origini sia per il richiamo alla Madre, la grande opera di cui la juta è la base e che è al tempo stesso radice e primo frutto della collaborazione dei due artisti, sia per la qualità stessa della materia, non raffinata e per certi versi primordiale come il suo colore che riporta a quello della nuda terra.
L’origine appare anche nei temi che vi sono sviluppati: minimali, privi di qualunque sovrastruttura significante, essi rappresentano lo sguardo di Henjam che si posa su un mondo ancora incontaminato da qualsiasi giudizio, un mondo in cui costruzioni ancora vergini dispiegano il loro vuoto che è quasi un’attesa.

Si tratta di grandi opere (dai 250 ai 200 cm x 140 cm) dal cromatismo essenziale in cui grandi campiture di toni neutri vanno a creare elementi architettonici dalle linee quasi irreali nella loro immaterialità.
Poche sono le ombre in questi interni immaginari, praticamente assenti le linee curve, là dove una luce meridiana tutto disegna seguendo la retta dei suoi raggi.

E’ il passaggio il tema essenziale che affiora nitido dalle opere di questa serie, un passaggio che però si manifesta sempre nel suo non realizzarsi: finestre di cui si intravede appena l’apertura, scale sospese tra piani che restano oltre il nostro campo visivo, porte che portano ad altre porte in una mise en abîme significativamente ricorsiva e soprattutto quella recinzione che anziché chiudere il passaggio si apre su un vuoto denso come la trama della juta su cui è disegnato, un vuoto circondato dalla preziosità dell’oro che ne resta inesorabilmente al di fuori.

Finestra
Olio su juta (250×140 cm)